E’ quasi l’una, c’è ancora molta gente in giro per locali nonostante il freddo.
La nebbia rende tutto effimero e Aleksjei, seminascosto in un portone, attende che la preda si avvicini. Si usava così a Semipalatinsk dove viveva fino a qualche anno fa, attendere, pazientare che prima o poi l’occasione arriva.
Non è per niente piacevole usare la bicicletta con questo freddo, la nebbia così umida lo spinge fin dentro le ossa ma Genevieve non se ne preoccupa, e pedala. E’ in ritardo per il suo appuntamento, ha litigato con il suo ragazzo perdendosi in mille parole e grida, perdendo il senso del tempo che scorre e ora pedala, in fretta.
A Semipalatinsk faceva molto più freddo che qui in città pensò Aleksjei, nessuno però se ne preoccupava, erano abituati e più di tutto vennero a conoscenza che l’Unione Sovietica li usò, a loro insaputa, come poligono nucleare sperimentale, tutto il Kazakistan era un poligono di cavie inconsapevoli. Ecco cos’era che deformava i neonati, che rendeva le persone cieche, sorde, che le faceva morire di malattie orribili. La fuga, l’unica soluzione possibile par allontanarsi da aria e acqua irrimediabilmente inquinate.
Finalmente! Genevieve lega alla benemeglio la bicicletta al palo, è l’unico mezzo che ha e le dispiacerebbe che la rubassero ma ha fretta, tanta fretta. Correndo per le vie strette del centro scivola sul pavè, reso viscido dalla nebbia. Il tonfo è greve e per un istante sembra che tutta l’aria dei polmoni venga sparata fuori. Resta immobile, la schiena fa male. “Resta dove sei” dice una voce profonda e inquietante “non ti muovere, sarebbe pericoloso”.
Aleksjei guarda per terra, il cielo è troppo lattiginoso e informe per essere guardato, il tempo passa e l’attesa della preda inizia ad essere insostenibile, fa freddo e la fame inizia a mordere. Un rumore. Si rintana nell’ombra e aspetta. Il rumore è strano, sono passi di corsa che si fermano improvvisamente con un gemito. Non sa cosa fare Aleksjei, si è già trovato nei guai per essersi sporto troppo in fretta, troppo precipitosamente. Non vuole cascarci un’altra volta. Da un po’ non sente più rumore e un misto di curiosità e sospetto si fanno avanti. Si sporge, e guarda.
La botta alla testa ha un po’ intorpidito Genevieve, la vista annebbiata, la schiena dolorante e gelida la immobilizzano a terra. Quella voce. Non è conosciuta, non è rassicurante anzi, Genevieve non risponde, non parla, cerca con attenzione di capire chi, cosa. La borsa! Già. Nella caduta si è aperta la borsetta spargendo il suo contenuto lungo qualche metro del pavè. Se mi deve rapinare – pensa Genevieve – almeno la borsetta è già aperta.
Non resiste più, Aleksjei esce allo scoperto e guarda. La stradina è deserta ora, l’orario, il freddo e la nebbia hanno spinto la gente verso casa o nei locali riscaldati, nessun testimone, meglio.. Pochi passi e la preda è là, sdraiata, tramortita, il portafoglio è di fianco alla borsetta aperta nel vicolo, c’è qualche oggetto sparso. Non può essere così facile pensa Aleksjei, da anni ormai abituato a lottare per ogni cosa. Si avvicina con cautela, continua a guardarsi intorno, nessuno, nessun rumore. E si avvicina.
Genevieve sente che quel silenzio, quella persona che la osserva senza dire più una parola la sta paralizzando, reagire, pazientare, urlare, piangere.. cosa la può portare alla salvezza? Non c’è un’anima intorno e l’impressione è che anche urlando nessuno le presterebbe ascolto.
Aleksjei è a un metro dalla preda che, stranamente, pare non accorgersi di nulla. Si guarda intorno Aleksjei, è attento a tutto ciò che lo circonda ma un colore vivace in quella serata così grigia e fredda lo colpisce. La preda è sdraiata a terra, appare sofferente e confusa, non sa cosa fare Aleksjei ma qualcosa ha imparato negli anni in Unione Sovietica. “Resta dove sei” le dice “non ti muovere, potrebbe essere pericoloso”.
Il respiro era tornato normale ma il cuore batteva all’impazzata, Genevieve sentiva che il tempo si era fermato, da quanto tempo era lì per terra? Quanto sarebbe durato, cosa avrebbe fatto di lei quella voce che ancora non aveva identificato, che non aveva ancora un volto? Sentiva uno strano appiccicaticcio sulla testa, sangue, sicuramente cadendo si era ferita, le sarebbe servito un fazzoletto ma non ce l’aveva. Si! Si che ce l’aveva, il suo fazzoletto verde acido porta fortuna, ma era nella borsetta, lontana da lei ora e non si poteva muovere.
“Non restare impalato, fa qualcosa o scappa via”, questo pensava Aleksjei, la serata era strana, tutto quanto stava capitando era strano, fino a che l’occhio non gli cadde su quella macchia di colore. Un fazzolettino verde acido che usciva dalla borsetta.
Era sorpreso e ammutolito “Genevieve…, sei tu?”
“Aleksjei?!? Ma vaffanculo va’, mi hai fatto prendere uno spavento…”
(scritto da Oliviero Giberti il 08.09.2010)
9 commenti:
apperò, la questione merit di essere approfondita...
Certo che quel "vaffanculo" Tolstoj non avrebbe mai avuto il coraggio di piazzarcelo :-)
che delusione........pensavo ad un finale più dolce, cazzarola sto diventando troppo romantica adesso mi "riprendo" :-)))
Un Top tunner pure scrittore? Non ho parole..
Interessante stile di scrittura, piuttosto scorrevole.
verrà mica fuori che mi finisci tra i primi 30 scrittori dell'anno???premiazione in piazza San Gottardo!:-)
quel finale prosaico fa pensare a un dostoevskij prima maniera.... ;)
@tutti Grazie! La separazione di parecchi anni fa ha sbloccato qualcosa nella testolina bacata che ho, e ogni tanto ci sono notizie che accendono la lampadina ed escono queste cose. Poi belle o brutte non lo so, mi piace tenerle e ora che ho il blog anche pubblicarle ogni tanto. Ma per dirla come si usa dalle parti di Yogi, sono un "dostoevskij de noantri", altro che...
genevier si è rotto i legamenti e noi del toro siamo rimasti senza regista, porccc
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